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Gaia Clemente - Liceo "E. Montale"

19/3/2020

1 Commento

 
Come mi sento?

Grazie per avermi posto questa domanda anche in momenti di tale lontananza. Lo apprezzo davvero.
Penso che rispondere “bene” sia molto difficile. Ci sono troppe mancanze. Ma percepire voi, così come tante persone a me care, vicine anche se fisicamente lontane, è una scoperta rassicurante.
Chiunque mi conosca almeno un pò sa che ho la tendenza a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. 
Nei primi giorni di “reclusione forzata” mantenere ben salda questa mia nomina non è stato semplice.

Vado da un estremo all’altro. Se sono stimolata, interessata ed ho degli impegni da rispettare…mantengo uno stile di vita estremamente iperattivo. Amo interagire con molte persone, dilettarmi in tutti gli interessi che mi passano per la testa e sì, persino studiare. 
Ma se vengo privata del contatto umano e costretta a passare troppo tempo all’interno delle mura domestiche…divento un tutt’uno con il divano. Prolungamento in pigiama, piuttosto che tessuto.
Mia acerrima nemica? Sempre me stessa.
Mi sono resa conto di aver paura di restare da sola con la mia testa. Forse la temo per i suoi pensieri talvolta ossessivi, o magari per la vividezza delle fantasticherie da essa create. 
O forse non voglio scoprire di essere troppo poco interessante, di non piacermi.

In questi giorni non posso proprio scappare, mai. 
Mi trovo di fronte ad un bivio, tutte le mattine. Posso trascorrere la mia giornata piagnucolando passivamente per le restrizioni subite e sentendomi prigioniera nella mia stessa testa, o posso accettare la situazione per quella che è, cercando di trarne il meglio possibile.

Essere privati della nostra quotidianità ci porta ad apprezzare anche le piccole cose che sempre abbiamo dato per scontate. E’ un concetto che nella vita mi è stato ripetuto tante volte, ma che mai ho sentito così tanto sulla mia pelle. 
Si tratta di una di quelle classiche frasi divulgate dai nonni nelle verande. Perché hanno bisogno di essere vissute e sofferte per poter essere realmente apprese e condivise. 

Il mio cane ha 4 anni. Io penso di averlo portato a fare una passeggiata una ventina di volte in tutto. 
Ieri ho combattuto all’ultimo sangue contro mio fratello per decidere chi dovesse portarlo fuori. 
Ho vinto io, e siamo usciti a fare questo sudato giro dell’isolato.

Cuffiette collegate, guinzaglio alla mano, inizio a percorrere quelle strade che avrò visto un migliaio di volte. Ma, forse per la prima volta, mi soffermo a guardarle davvero. 
Cammino sotto un cielo stranamente più stellato del solito.
Spostando lo sguardo lateralmente posso distinguere due lampioni. Uno emana una luce fredda, argentata; l’altra appartiene invece ad una tonalità più calda. 
Poi nella mia visuale si frappongono le fronde di un albero. I due tipi differenti di luce si uniscono sulla superficie verde delle foglie, creando un gioco di colori unico nel suo genere.
Mi fermo, lì, sotto un banalissimo albero. E mi salgono le lacrime agli occhi. È davvero bello. Ed io non l’avevo mai notato.
Sono felice. Sono felice per un albero.

Non so perché, ma qualcosa nel mio cervello mi porta a tornare a riflettere sulla quarantena e tutte le sue conseguenze.
Mi volto, riprendo a camminare per tornare indietro e improvvisamente mi rendo conto di quanto quella via, sempre straripante di gente, sia ora spettralmente vuota. 
Un senso di inquietudine si diffonde in me.
Giro l’angolo e vedo un ragazzo poco più avanti. Anche lui mi nota, e cambia strada.
Inizio a camminare più velocemente, con una stretta allo stomaco. Sposto lo sguardo in continuazione, riesco a fossilizzarlo esclusivamente sui decreti relativi al coronavirus appesi ovunque. 
Mi fermo.
Perché il mio modo di vedere le cose sembra essere cambiato radicalmente?
È la stessa identica strada di prima, solo percorsa nel verso opposto. 
Un pensiero di Freud mi passa per la testa. 
Il fondatore della psicoanalisi sosteneva infatti dell’esistenza nell’uomo della pulsione di morte. 
In pratica l’essere umano non persegue il proprio bene, il bene non è la finalità fondamentale della vita umana. Tende bensì all’autodistruzione. 
A mio parere non esistono parole più vere. 
Per chissà quale strano meccanismo, il pessimismo è sempre la strada più facile, quella che ci viene maggiormente spontanea. 
Ma la vita è sempre una questione di scelte. 
Possiamo scegliere anche l’altra strada.
Possiamo scegliere su cosa fossilizzarci e cosa no. 
Possiamo scegliere di essere felici per un albero.
1 Commento
Bianca Iannelli
23/3/2020 15:47:02

Innanzitutto volevo farti i miei complimenti: scrivi davvero bene! In secondo luogo ho trovato le tue riflessioni molto interssanti, anche se su alcune mi trovo in disaccordo. Non credo che l'uomo punti all'autodistruzione, ma anzi al suo opposto; il punto è che per farlo adotta delle strategie che spesso gli si ritorcono contro. Il pessimismo è la strada più semplice perchè, quando ancora eravamo bipedi alle prese con la nostra evoluzione, una parte del cervello si focalizzava principalmente sui problemi, così da risolverli e vincere la feroce lotta per la sopravvivenza. Oggi tale parte vive ancora in noi, ma risulta meno utile se non addirittura nociva. Sta a noi controllarla.

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